La Finanziaria 2018, all’art. 1 comma 910, ha introdotto, con decorrenza 1° luglio 2018, l’obbligo per i datori di lavoro il divieto di pagare in contanti le retribuzioni sia a saldo che in acconto.
Il divieto del pagamento in contanti delle retribuzioni riguarda:
- I rapporti di lavoro subordinato;
- I contratti di Collaborazione Coordinata e Continuativa, quindi tra questi rientrano anche i compensi corrisposti agli amministratori di società;
- I contratti di lavoro istaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.
Il divieto non riguarda invece i rapporti di lavoro:
- Istaurati con le Pubbliche amministrazioni;
- Stipulati con gli addetti ai servizi domestici, ossia, colf, badanti e baby sitter;
- E come precisato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, il divieto non si applica per il pagamento di compensi derivanti da borse di studio, tirocini e rapporti autonomi di natura occasionale.
Le retribuzioni o compensi potranno essere corrisposti solo tramite mezzi elettronici di pagamento, quindi eseguiti esclusivamente con il tramite dei servizi bancari e postali.
Gli strumenti di pagamento consentiti sono:
- Bonifico bancario sull’IBAN indicato dal lavoratore;
- Assegno bancario;
- Pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro ha aperto un c/c di tesoreria con mandato di pagamento;
- Strumenti vari di pagamento elettronico.
In caso di violazione della norma la stessa prevede una sanzione che va da € 1.000,00 a € 5.000,00 per ogni violazione, con la precisazione che, se la retribuzione o il compenso sia superiore a € 2.999,99 si incorre nella violazione della norma che regola l’antiriciclaggio (art. 49, comma 1, del D.Lgs n. 231/2007) che dispone il divieto al trasferimento di denaro contante qualora sia di importo pari o superiore a € 3.000,00. In caso di violazione è prevista la sanzione amministrativa da € 3.000,00 a € 50.000,00.
Il legislatore, regolando la modalità di pagamento delle retribuzioni, ha inteso tutelare i lavoratori da eventuali omissioni del datore di lavoro considerando che, nel nostro paese risulta ancora molto diffuso la corresponsione al lavoratore di una retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di appartenenza.
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